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lunedì 21 ottobre 2013

Il comune ostaggio del patto di stabilità


Non sempre è facile capire cos’è il Patto di Stabilità, a cosa serve, quali sono gli obiettivi e quali gli effetti concreti che produce sugli enti locali. Il tema è molto tecnico: in questa pagina cercherò di spiegare tutto ciò nel dettaglio. Sperando di risultare il più chiaro possibile, vista la complessità dell’argomento.

 Cos’è il Patto di Stabilità.
 Il Patto di Stabilità è stato pensato dall’Unione Europea per tenere sotto controllo i conti pubblici degli Stati appartenenti all’area Euro, con l’obiettivo di ridurre i deficit e i debiti accumulati negli anni e risanare così le finanze pubbliche. L’Europa ha posto degli obiettivi; come raggiungerli è una scelta che compete ai singoli Stati. 
Quando si parla di conti pubblici non ci si riferisce solo a quelli degli Stati centrali, ma sono compresi anche quelli degli enti territoriali (Regioni, Province, Comuni, ecc.). Per questo il Patto di Stabilità produce effetti anche per questi enti.

 Come è stato impostato in Italia.
 Fino ad alcuni anni fa (con il primo Governo Berlusconi) il Patto era impostato sul concetto dei limiti di spesa: i comuni non potevano spendere più di un certo importo prefissato, al di là delle reali disponibilità, e ciò creava delle limitazioni forzose e poco rispettose dell’autonomia degli enti stessi.
 Poi (con il Governo Prodi) è stato introdotto il concetto del saldo di bilancio: per rispettare il Patto i comuni non avrebbero dovuto peggiorare il proprio saldo finanziario (semplificando: il rapporto entrate-uscite) di un determinato anno, rispetto alla media del triennio precedente. Una norma migliorativa rispetto a quella precedente, in particolare per la parte corrente del bilancio, perché garantiva maggiore libertà di impiegare, ogni anno, le proprie risorse.

 Rimaneva un problema sulla parte del bilancio relativa agli investimenti, perché non sempre le opere pubbliche riescono ad essere completate lo stesso anno in cui vengono reperite le risorse, per cui in questi casi il saldo (rapporto entrate-uscite) non può che sballare: se un anno entrano le risorse, e l’anno dopo escono per realizzare un’opera, da un punto di vista pratico si agisce nella correttezza (perché vengono investite risorse accantonate e a disposizione), ma dal punto di vista contabile i saldi non tornano, perché il primo anno avrò più entrate che uscite (e quindi il comportamento, ai fini del Patto, sarà considerato positivo), mentre l’anno dopo avrò più uscite che entrate (e quindi il saldo finanziario sballerà, provocando il mancato rispetto del Patto).

 Infine, due anni fa (ultimo Governo Berlusconi) è stata introdotta un’ulteriore novità: per rispettare il saldo finanziario, il riferimento non è più il triennio precedente, ma un anno secco (nel 2009, ad esempio, i comuni non potevano peggiorare il saldo finanziario del 2007). La norma è di nuovo peggiorativa, perché in un triennio normalmente possono essere attutiti i picchi (positivi o negativi che siano) dei singoli anni, ma se il riferimento è un anno secco e se quell’anno il saldo, per qualsiasi ragione, era stato eccezionalmente positivo (molte più entrate rispetto alle spese) è chiaro che diventa pressoché impossibile raggiungere il medesimo risultato anche negli anni successivi: quindi sono di nuovo aumentati i vincoli per i comuni e le relative difficoltà a rispettare il Patto, minando di nuovo la loro autonomia.

Sembra una situazione senza senso, ma in realtà tutto ha una logica, anche situazioni perverse come questa. Visto che, come si diceva all’inizio, il Patto di Stabilità riguarda tutti gli enti territoriali di uno Stato, in Italia si è pensato bene di rispettarlo a scapito di Regioni, Province e Comuni. In parole povere: con questi vincoli si vuole compensare il deficit dello Stato centrale con i surplus imposti ai Comuni (che hanno i soldi, ma non possono spenderli e quindi creano degli avanzi…) così da rispettare il Patto. Ma il guaio è che i conti tornano, ma solo dal punto di vista contabile, perché nella realtà il deficit dello Stato centrale resta intatto, e i comuni hanno soldi che non possono investire, rischiando di compromettere la qualità dei servizi e la possibilità di fare investimenti (cosa grave, in particolare in un momento di crisi come quello attuale).

COSA SUCCEDEREBBE AL COMUNE E, DI RIFLESSO AI CITTADINI, SE NON RISPETTASSIMO IL PATTO DI STABILITA’?

Se non rispettassimo il patto di stabilità incorreremmo in una serie di sanzioni molto pesanti, fra le quali: riduzione dei trasferimenti ordinari dovuti dal Ministero al Comune (cioè soldi che lo Stato versa al Comune annualmente). Una conseguente forte riduzione delle spese correnti. Nell’anno 2013, in caso di mancato rispetto del patto, il Comune dovrà azzerare le spese per le manutenzioni ordinarie (strade, verde pubblico, ecc.) e ridurre drasticamente l’erogazione dei servizi assistenziali o il sostegno a tante iniziative associative. Il divieto di assunzione di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia di contratto o la risoluzione di alcuni contratti in essere che comporterebbe un pesantissimo rallentamento dell’attività amministrativa anche in termini di risposte alle legittime istanze dei cittadini. Il divieto di ricorre all’assunzione di qualsiasi mutuo per la realizzazione di nuove opere pubbliche (strade, scuole, marciapiedi, ecc.).

E COSA POTREMMO FARE INVECE SE SI ALLENTASSERO I VINCOLI DI QUESTO PATTO?

Il Comune potrebbe innanzitutto:
 Accogliere, più prontamente di quanto riusciamo a fare ora, le richieste che ogni giorno il cittadino rivolge all’Amministrazione anche per esigenze conseguenti all’attuale crisi economica; potenziare i servizi socio-assistenziali utilizzando interamente l’avanzo di amministrazione oggi escluso dal computo per la determinazione del limite sopra detto; 
effettuare il pagamento di tutti i lavori commissionati prima dell’entrata in vigore dei nuovi limiti imposti dal Governo, risollevando le sorti di molte piccole aziende artigianali e commerciali locali e contribuendo fattivamente alla ripresa dell’economia locale. Effettuare lavori e manutenzioni del territorio amministrato dando nuove opportunità di lavoro in paese.

                                                                                           
  Ernesto La Vecchia
 Assessore al Bilancio

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